1. Una certa idea dell'Afghanistan
Il chiacchiericcio afghano è degno delle pettegole più pettegole che esistano in Europa. Tutti sanno tutto di tutti. O vogliono saperlo. La curiosità della gente è incredibile. Mi metto spesso a ridere, perché è una cosa buffa. Ma quando succede a te, lo è sicuramente di meno.
Andando in giro per strada pensi che nessuno sappia chi tu sia? Certo che no. La voce si sparge fino al confine opposto della città su cosa fai, chi frequenti, di cosa ti occupi. Gli afghani si lamentano degli afghani che parlano. Ma allo stesso tempo fanno lo stesso. In un aeroporto ho incontrato due soldati che ricordavano di me durante una visita in un villaggio l’anno scorso. Impressionante.
Lavorare in un ambiente così, perciò, può diventare insidioso. Con Shahab cerchiamo di trovare storie inedite, e sicuramente pericolose. Perché sono quelle che nessuno vuole fare. Ma costantemente ci troviamo a doverci fidare di persone che molto probabilmente hanno la lingua lunga. In 8 mesi, è già la seconda volta che ho dovuto prendere una decisione cruciale. Letteralmente fra la vita e la morte. “Se vuoi andiamo. Ma sappi che abbiamo l’80% di probabilità di non tornare”. Molti penseranno che sono i rischi dovuti ai talebani. O che sono scherzi. Ma in verità, il gioco di potere in questo paese sorprende chiunque. In palio ci sono milioni di dollari, interessi internazionali. I servizi segreti quindi, hanno tutto l’interesse a far sparire chiunque ci ficchi il naso. Ed è pure facile in Afghanistan. È un paese in guerra. Basta incolpare i Talebani o qualche criminale.
Da quando sono arrivato qui, mi sono accorto che la situazione è sempre più tesa. La politica afghana, dovuta alla guerra, non è mai stata un gioco da ragazzi. Ma questa volta, per davvero, le cose sembrano essere diverse. La criminalità è aumentata, le uccisioni mirate sono ormai su base giornaliera. Hanno anche distribuito delle penne che possono sparare, secondo alcune fonti. Incredibile, roba da James Bond. Ne hanno distribuite in giro. Pagano le persone, che sono allo stremo e senza soldi per uccidere determinati obiettivi. Per 10 mila afghani, poco più di 100 dollari. È uno scenario di guerra, spionaggio vero e proprio.
“Ricordi quel giornalista che era andato con i servizi segreti e una missione italiana a seguire un’operazione? Quando sono atterrati a Kabul, lo hanno buttato dall’elicottero sparandogli” dice Shahab. Non si scherza. Si può essere fortunati. Ma perché giocare con la propria vita sapendolo in anticipo? Io sono dell’idea che i giornalisti in prima linea siano indispensabili. Ma sostengono anche che bisogna essere prudenti a volte. Bisogna saper dire di “no”. È difficile resistere al fascino di poter raccontare una storia incredibile, mai raccontata, che potrebbe sollevare un polverone. Ma a volte bisogna fare i conti con la realtà.
L’Afghanistan, sebbene sia un bellissimo paese e sembri apparentemente normale, difatto, non lo è. Nargis mi dice di non uscire la sera, che uccidono persone mirate. Ma ormai il rischio te lo devi prendere.
Molti stranieri si rinchiudono nel green village, nelle basi fortificate per occidentali, piene di muri anti esplosione, soldati a ogni angolo. Solo un razzo (ed è successo) potrebbe distruggere tutto, se proveniente dall’alto. Io mi rifiuto. Così non si vive il paese. Mi sembra assurdo. Allora vivo con gli afghani. Sono stato due giorni in un piccolo albergo nel quartiere business Shahr-e-Naw, che in dari/farsi significa città nuova. Ma mi sono subito spostato da Kabir, un grande amico mio, appena ha avuto lo spazio per accogliermi. Mi ospita insieme a suo cugino, Omar. Vivono a Pol-e-Sorkh,un quartiere della capitale. Sto con loro, condividiamo casa, non ci sono protezioni. È bellissimo perché, anche se non è una casa tradizionale, si è in mezzo alla popolazione e si può imparare la mentalità.
In questi giorni ho avuto un incontro molto particolare. Sono stato faccia a faccia con un talebano. Un pezzo grosso della guerriglia. Una persona molto devota all’Emirato islamico. Ormai non mi fa più effetto. Sembra che ci abbia fatto il callo a queste situazioni. Ma è pur sempre una persona che ha passato anni di torture in prigione e ha combattuto fortemente contro l’occupazione. Non vede gli stranierI di buon occhio anche se tutti coloro che ho incontrato mi hanno ribadito una cosa: “tu vieni qui con la penna. Perché dovrei farti del male? Sono quelli armati he combatto”. Sono persone che da un lato rispetto. Combattono per il loro ideale di libertà e di giustizia. Chi siamo, noi, per giudicare cosa debba pensare uno o l’altro? Shahab, che mi ha aiutato ad organizzare tutto con Mayar Sahib, un altro giornalista, ha pure detto che la leadership talebana sa chi sono io. Sorrido. Ma è importante farsi conoscere e rispettare da tutti i lati. Il lavoro del giornalista, passa prima di tutto attraverso i contatti e l’imparzialità. E io, devo essere sincere, non sempre ci sono riuscito. Ma mi sforzo sempre. Gli errori si commettono ovunque. Ma in Afghanistan, un solo errore è sufficiente per essere messi sulla lista nera. O per sparire.